on A/Rivista Anarchica (April 2017)

by MARCO PANDIN

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CARTA STAMPATA CHE FA RUMORE II

Continuo sulla stessa strada intrapresa lo scorso mese, segnalandovi cioè alcune cose stampate che secondo me con la musica hanno comunque delle relazioni, spesso dirette, altre volte più tenui, rarefatte. Direi che tutte si leggono e si guardano più volentieri mettendoci una qualche musica di sottofondo oppure circondandole di tappezzeria sonica: sono letture che mettono in movimento gli ingranaggi del ricordo e quelli della fantasia, e mi ha colpito proprio questo invito a cercare un ambiente, un colore, una luce, un posto tra musiche e canzoni familiari oppure tra colonne sonore immaginarie e possibili. Sembra che alcune di queste pagine suonino davvero, altre accendono in testa dei rumori, dei suoni d'ambiente specifici... Ehi, sto continuando a scopiazzare da me stesso, lo so, ma due righe per introdurre il discorso secondo me ci volevano.

Fanzine nel duemilaediciassette
“Mammamiaquantosangue”: eh sì qua la musica si sente bella forte fortissima come piace a me, questione proprio di impatto sonoro intendo, di volume alto, di scontro fisico col suono, musica che vibra e sussulta tum-tum-tum-tum avete presente quelle linee di basso incatenate alla cassa pesante solida spigolosa della batteria che prendono allo stomaco. Come mi mancano i concerti di una volta dove il volume contava, faceva proprio parte integrante della musica, e ci si andava presto per occupare un po' di posto o toccava ammazzarsi a gomitate e spintoni per rosicchiare la distanza un pezzetto alla volta fin sotto al palco e restare a stordirsi lì davanti. MMQS chiamiamola così per fare prima è una fanzine in biancoenero pare fotocopiata o comunque stampa digitale, questo è il numero tre, non proprio uscito adesso ma non importa. L'effetto è un po' come tenere tra le mani una radio gigantesca con due woofer grossi così, che cambia da sola la sintonia come sfogli le pagine, l'antenna che va a puntare sul punk felice e liberatorio dei Frontiera (c'è una bella intervista a Sergio Milani, quanta strada quanta fratellanza quante storie quante canzoni venute ad abitare qui dentro), solo per cominciare dico poi scegliete voi da che parte andare tra Romahardcore e Torinohardcore o altre destinazioni col potenziometro del volume stabile nella zona rossa. MMQS è una realizzazione recente quindi pochi i nomivecchi che conosco io e dei quali ho ancora dei dischi in casa tipo Soglia del Dolore, Factrix e Marc Ribot e invece tanti i nomi e le storie a me sconosciuti, tipo questo Nicola Manzan/Bologna Violenta che neanche sapevo esistesse come pure questi Marnero che finora non ho proprio mai ascoltato ma che mi incuriosiscono assai, dovrei mettermi a cercare. Il tipo che si sbatte dietro a MMQS si chiama Massimo e fa anche dei dischi (ho dato un'occhiata rapida al catalogo, riconosco Simone Balestrazzi, parmigiano se non ricordo male, una volta metà anni Ottanta nei TAC), nome dell'etichetta: Sincope, metto più sotto i riferimenti per i contatti. Pensate un po', pubblica anche delle cassette, da non crederci.
Da non crederci, dico. Si potrebbe adesso stare qui a discutere a disquisire a s/ragionare sui per chi sui perché e sui percome, su meccanismi e ragionamenti in movimento dentro in testa, insomma domandiamoci come mai uno dovrebbe mettersi a fare oggi duemilaediciassette oggi che c'è internet oggi che ci sono gli smartphone oggi che puoi telecomandare via web anche la lavatrice e pure organizzarti il riscaldamento in casa insomma come mai perché mai sbattersi per fare una fanzine - chiamiamola Mammamiaquantosangue come questa qui, oppure Solar Ipse come fa Loris Zecchin a Trieste ma il nome o il posto non importa tanto se ne fanno ovunque su e giù per il paese, spesso per metterla insieme collaborano ragazzi del nord e del sud e dell'est e dell'ovest. Quelle che arrivano ogni tanto nella cassetta della posta di casa mia sono grosso modo simili negli istinti nel rumore nell'attitudine anche se sono tutte diversissime - e le altre pure, immagino ce ne saranno decine e decine di sotterranee e ultrasotterranee solo qui in Italia. Non penso sia così diverso oggi da come succedeva a noi una volta, dico noi-una-volta per dire i fanzinari di trentacinque-quarant'anni fa alle prese con forbici colla trasferibili dymo e pennarelli, artigiani per forza di collage fragili da fotocopiare e graffettare assieme nell'era pre-videoscrittura. Non credete a quelli che vi raccontano che gli anni Ottanta erano pervasi da chissà quale spirito di intraprendenza e missione, macché pionieri nel farwest culturale indipendente, se guardiamo bene vent'anni addosso che sia ieri oppure oggi sempre vent'anni sono, la fame di conoscenza è la stessa, i “tiramenti di culo” e l'urgenza pure. È che andando avanti con l'età ci si dimentica di aver avuto vent'anni, conviene farlo, tocca farlo, spesso tocca farlo per forza, per restare a galla, darsi un contegno, una rispettabilità. Forse è per questo che certi che erano punk a vent'anni poi sono diventati santoni oppure assessori sempre lì siamo - ma è un altro discorso, qui si mette male, qui c'è da litigare e adesso non mi va.

La lentezza mi piace
È la tecnologia che è diversa, solo quello, è la velocità di questi tempi che è diversa, la velocità con cui girano le informazioni intendo, mica c'era internet nei primi anni Ottanta, lo sapete i telefonini erano roba da Star Trek, ci si nutriva di vinile e cassette copiate altro che Soundcloud e netlabel e Twitter e mp3, stavamo tutti in fila ad aspettare il turno all'ufficio postale con i pacchetti e le buste riempiti di speranze e sopra dei francobolli riciclati ogni volta possibile - i modem wi-fi stavano solo dentro ai sogni di chi li avrebbe poi inventati. A me la lentezza piace, trovo che troppa velocità influenzi negativamente l'idea di fatica (o di comodità, dipende da che parte si guarda) che uno si fa, l'approccio alle cose del mondo, l'attenzione agli altri, l'impegno e potrei continuare. Se voglio sapere qualcosa adesso vado a cliccarci sopra, ci si mette poco: la fatica, una volta pagata la bolletta del telefono, è quella di schiacciare i tasti fino a formare una stringa di caratteri, la mia scelta libera è tra i molti e diversi possibili link che un motore di ricerca ha già scelto per me. Ma se mi fermo un momento a pensare, capisco già che questa parola “scegliere” ha preso come un gusto acido, sa un po' meno di libertà, sa un po' meno di me, della mia vita, dei miei sogni. Questo “scegliere” è accontentarsi della superficie dei canali YouTube, delle immagini e dei comunicati messi lì apposta da qualcuno sul sito, dell'illusione del contatto diretto - che invece forse diretto non lo è affatto. E lasciamo stare la questione degli .mp3 da scaricare e magari da ascoltarsi con le cuffiette, da soli - proprio dove la musica una volta la si condivideva come il pane, come il vino, come le risate. Resta il rastrellare spiccioli, una volta le collette adesso via paypal.
Io dico: uno che sceglie di fare una fanzine stampata oggi è uno che si accorge che questo restare in superficie, questo galleggiare sopra le cose davanti a uno schermo non basta e non soddisfa, che una quantità breve di attenzione non è sufficiente a rivelare, a illuminare, che frammenti briciole schegge ritagli non riescono a formare un'opinione, il pensiero ha bisogno di informazioni e di un pizzico di coraggio sì vabbé ma anche e soprattutto di riflessione tempo confronti scambi per formarsi. Fare una fanzine oggi significa riprendersi indietro il tempo, riappropriarsi del senso del tatto, aggiustarsi l'ambiente dentro in testa ad una velocità più adatta, a ciascuno la sua. Uhm, questo pare più un delirio che una segnalazione: corro subito a farmi una tisana.

 






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